Gianni Savelli
Gianni Savelli
È piuttosto facile, oggi come oggi, imbattersi in proposte musicali basate sulla contaminazione (nel peggiore dei casi) o sulla sintesi (meglio) di linguaggi diversi. La nostra epoca globalizzata è ricca di esempi in tal senso, perché ogni barriera culturale fra generi, fra musica colta e popolare, fra aree geografiche, va, fortunatamente, tramontando. A operazioni culturali e poetiche, stralunate e irriverenti, ma sempre precise di questo tipo, mai cadute nella tipologia del mero collage, della cartolina musicale, ci ha abituato da anni Mauro Ottolini. Il trombonista veronese continua nel suo percorso con questo album dedicato quasi in toto alle canzoni scritte da compositrici oppure rese famose da interpreti femminili, cui aggiunge alcuni brani suoi dedicati a grandi donne.
Nada Más Fuerte rivisita brani molto popolari, che hanno influenzato compositori anche classici e che il leader ha riarrangiato – utilizzando un settetto jazz, in cui spicca l’ottima cantante Vanessa Tagliabue Yorke, e un’ampia orchestra d’archi – sommando il jazz, l’improvvisazione, le invenzioni alla struttura originale. Si inizia in un clima carico di pathos con Alma Mia della messicana Maria Grever, un’allieva di Debussy del primo 900, il fado di Bevinda (Ferriere) Fatum, strumentale e jazzato dal trombone e dalla chitarra classica di Marco Bianchi, l’assolo di conchiglia Turritella Ottolini che apre alle conchiglie, percussioni e vocalizzi della cubana La conga se va, brano di danza criolla di fine 800.
Tra le altre dieci track spiccano Mi segundo amor e Luz de luna, lanciate dalla grande messicana Chavela Vargas, che pare sia stata anche l’amante della pittrice Frida Kahlo, The Wedding del pianista sudafricano Abdullah Ibrahim in una versione emozionante piena di archi, la Chanson pour Edith Piaf di Ottolini che riporta quasi alla musette francese con la fisarmonica di Thomas Senigaglia, il capolavoro Allah Kbir, scritta dal compositore libanese Ziad Rahbani per sua madre Fairuz, cantante iconica del mondo arabo, l’altra Canzone per Alda Merini, piena di poesia e dalla raffinata tessitura, e la conclusiva Callejon de un Solo Caño della coreografa afro-peruviana Victoria Santa Cruz, il brano più “mosso” del cd.
L’ensemble Media Res del sassofonista napoletano arriva al suo albo numero quattro in quasi un quarto di secolo di attività. Dopo l’eponimo debutto del 2004, Que La Fête Commence del 2008 e Magellano del 2015, ecco Alisei a completare un poker di lavori che disegnano un tracciato personale e sensibile all’interno del contemporary jazz italiano. «Potrei dire che il mio percorso è stato quello di trattare la musica come un linguaggio narrato», spiegava in un’intervista. «Quindi, mi sono trovato a prendere le “parole” delle diverse lingue di mio interesse per poi scomporle in unità più piccole come fossero “lettere” al fine di ricomporre queste unità in un nuovo linguaggio di sintesi.»
E le “lingue” amate da Gianni Savelli diventano oggi più interiorizzate, verrebbe da dire meno esplicite, più personali e profonde. Africa, Asia, Brasile e gli influssi dei territori attraversati in carriera – pop, orchestrali, di sonorizzazione, contemporanei – che emergevano direttamente dai precedenti lavori sono diventati molecole, intuizioni, stimoli, sogni, sospesi nel flusso sonoro.
L’adesione dei musicisti del quintetto è quasi automatica, tutte le intenzioni vanno nella stessa direzione senza inciampi o ripensamenti: il pianista Enrico Zanisi è un folletto capace di indurre poltergeist nella sensibilità sonora delle tracce, il trombettista Fulvio Sigurtà suona come Paolo Fresu quando non si lascia prendere dalla voglia di strafare, il bassista Luca Pirozzi ha un tocco chitarristico personalissimo sullo strumento elettrico e il batterista Alessandro Marzi è l’erede diretto del bravissimo Aldo Romano.
Sei brani inediti che ci sollevano verso lidi del cuore e della memoria, a volte sospiro, a volte brezza, a volte folata, sono sempre poesie che non hanno confini, che sanno assumere la forma emotiva che l’ascoltatore ama nel momento in cui il suono esce dalle casse, che sanno descrivere ed evocare. Melodia mediterranea è ispirato al film di Roberto Rossellini (che di terzo nome faceva Zeffiro, a proposito di venti) La nave bianca. I due brani con l’orchestra sono dedicati rispettivamente a L’infinito di Giacomo Leopardi e al ricordo di Aldo Bassi, trombettista già nei Media Res scomparso troppo presto.
Tutti propongono prezioso jazz di oggi.
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